SPINGENDO LA NOTTE PIU' IN LA'
MARIO CALABRESI

COMMENTO
“Spararono a mio padre alle 9.15, mentre apriva la portiera della Cinquecento blu di mia madre”.
A ripercorrere questa drammatica vicenda è uno dei figli del Commissario, Mario Calabresi oggi corrispondente per “La Repubblica” da NY; raccontando la storia della sua famiglia dopo quel momento cruciale che cambiò la vita di sua madre, dei suoi fratelli e la sua, vittime sconosciute su cui troppo spesso è calato il silenzio.
Libro toccante per non dimenticare a chi ha vissuto gli “anni di piombo”, molti vogliono dimenticare, invece è bene parlarne e ricordare il dolore dei familiari delle vittime che vengono spesso dimenticate.
Di questo libro, molto scorrevole e caratterizzato da grande valore narrativo, colpisce soprattutto la serenità d'animo con cui è scritto, senza condanne, senza odio e ferocia, ma anzi con pacatezza e intelligenza, esso rappresentata l’esito finale di un percorso faticoso e difficile che ha portato Mario e i suoi fratelli a ritrovare, nonostante tutto, la serenità e la forza di andare avanti, non hanno mai smesso di lottare perché fosse rispettata la memoria, ricostruendo la propria identità, ritrovando la voglia di vivere, “spingendo la notte più in là”.
“Ho scommesso sulla vita, cos'altro potevo fare a venticinque anni con due bambini piccoli tra le mani e un terzo in arrivo?
Mi sono data da fare tutti i giorni, unico antidoto alla depressione, e ho cercato di vaccinarvi all'accidia, dall'odio, dalla condanna ad essere vittime rabbiose.
Questo non significa essere arrendevoli o mettere la testa sotto la sabbia.
Significa battersi per avere verità e giustizia e continuare a vivere rinnovando ogni giorno la memoria.
Fare diversamente significherebbe piegarsi totalmente al gesto dei terroristi, laciar vincere la cultura della morte.”
Non traspare alcuna forma di rancore solo amarezza , un'analisi lucidissima ed attenta di quel periodo, una grande dignità da parte dell'autore che da voce a persone a cui nessuno ne ha data.
Dopo le umiliazioni, le sofferenze e la solitudine Mario Calabresi, nel rispetto della memoria del padre, ha deciso di liberare, attraverso il suo libro, la figura di uomo e di poliziotto di Luigi Calabresi da ogni polemica e rabbia.
E lo ha fatto anche intrecciando la storia della sua famiglia con quelle delle altre vittime del terrorismo costringendoci ad affrontare e a soffermarci su figli, mogli, parenti lasciati soli, anche dallo Stato, a elaborare il proprio lutto, senza polarizzare in modo assoluto l'attenzione sulla sua esperienza.
Una frase che mi ha colpito e riassume l'intero significato del libro è la seguente:
“Mamma trovò dentro di sé reglole chiare su come dovevamo comportarci: mai una polemica, mai una parola di troppo, rispetto e gentilezza per tutti e soprattutto fiducia nella magistratura. "Non cerchiamo vendette, cerchiamo giustizia e accetteremo i verdetti che verranno" ci disse con chiarezza all'alba della prima udienza, mentre eravamo seduti un cucina. "Ho fatto di tutto perché non cresceste nel rancore e nell'odio e non voglio certo che adesso si rovini tutto”.”

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