ACCELLERATOMETRO

L’accelerometro è uno strumento di misura in grado di misurare e/o rilevare l’accelerazione.
Il principio di funzionamento di questo strumento di misura si basa sulla rilevazione dell’inerzia di una massa quando viene sottoposta ad una accelerazione.
La massa viene sospesa ad un elemento elastico, mentre un sensore ne rileva lo spostamento rispetto alla struttura fissa del dispositivo. In presenza di un’accelerazione, la massa (che è dotata di una propria inerzia) si sposta dalla propria posizione di riposo in modo proporzionale all’accelerazione rilevata. Il sensore trasforma questo spostamento in un segnale elettrico acquisibile dai moderni sistemi di misura.
Una prima classificazione si può fare suddividendo questi strumenti a seconda del principio di funzionamento del sensore di posizione.
Accelerometro estensimetrico: il cui principio di rilevazione è lo stesso delle celle di carico, cioè la variazione di resistenza di un estensimetro è dovuta alla variazione di lunghezza.
Accelerometro piezoresoistivo: è una variante dell’accelerometro a ponte estensimetrico, dove al posto degli estensimetri sono utilizzati sensori piezoresistivi, il cui comportamento è analogo agli estensimetri, ma permettono allungamenti superiori, quindi accelerazioni più forti.
Accelerometro LVDT: sfrutta come principio per la rilevazione dello spostamento della massa, un sensore LVDT (in cui la massa costituisce il nucleo ferromagnetico del sensore che scorre all’interno di un canale, attorno al quale sono avvolte le bobine destinate alla rilevazione della posizione della massa) integrato nella struttura dell’accelerometro.
Accelerometro capacitivo: il cui funzionamento si basa sulla variazione di capacità elettrica di un condensatore al variare della distanza tra le sue armature.
Accelerometro piezoelettrico: che sfrutta come principio per la rilevazione dello spostamento della massa, il segnale elettrico generato da un cristallo piezoelettrico quando è sottoposto a compressione.
Accelerometro laser: per misurazioni di precisione.
Gravitometro: realizzato appositamente per misurare l’accelerazione di gravità.
Gli accelerometri possono essere divisi in due grandi categorie:
• Per misure di accelerazione statica.
• Per misure di accelerazione dinamica.





















GRAVITOMETRO

Il gravitometro è un tipo particolare d'accelerometro realizzato appositamente per misurare l'accelerazione di gravità.
Secondo il principio d'equivalenza della relatività generale, gli effetti della gravità e dell'accelerazione sono gli stessi, perciò un accelerometro non può fare distinzione tra le due cause.
Come gravitometri si possono usare delle versioni migliorate di accelerometri per misure statiche, in cui sono state particolarmente curate le caratteristiche di sensibilità, di precisione e di stabilità. Infatti, in questa applicazione, necessita rilevare variazioni d'accelerazione estremamente ridotte.
Dove, a fini scientifici, è necessario effettuare misure estremamente precise, si ricorre ad uno strumento che lavora con lo stesso principio dell'accelerometro laser: in questo caso, si rileva l'accelerazione della caduta di un grave in una camera sottovuoto, usando un interferometro laser per misurare lo spostamento, e un orologio atomico per misurare il tempo di caduta.
Sofisticatissimo e costosisissimo è usato per misurare le anomalie gravitative.
Un suo utilizzo è quello di costruire e aggiornare la forma del geoide, forma geometrica molto
complessa avente come superficie la somma delle superfici equipotenziali.
Per intenderci: fate conto di avere un "filo a piombo" (in realtà l'accelerometro statico o gravitometro è simile) perfettamente perpendicolare ad una superficie ipotetica e semplificata di una sfera.
All'avvicinarsi di un monte,di un giacimento minerario o altro, il "filo a piombo" si sposta
impercettibilmente verso "l'accululo di massa".
Al CERN di Ginevra si trova un gravitometro al laser con controllo interferometrico del ritardo della caduta del grave: peccato che sia costosissimo e abbastanza difficile da spostare.
I Gravimetri sono generalmente progettati per essere molto sensibili al fine di misurare piccolissime variazioni frazionali all'interno della Terra 's gravità di 1 g, causata da vicino le strutture geologiche o la forma di la Terra.
Questa sensibilità significa che Gravimetri sono suscettibili di vibrazioni estranee anche il rumore che tendono a causare accelerazioni oscillatorio.
In pratica questo è neutralizzata da isolamento dalle vibrazioni integrale e di elaborazione del segnale.
I Gravimetri sono utilizzati per ricerche di petrolio e minerali di prospezione, sismologia, geodesia, indagini geofisiche e altre ricerche geofisiche.
Ci sono due tipi di gravimetri: relativa e assoluta.
-Gravimetri Absolute per misurare la gravità locale in unità assolute.
-Gravimetri relativa confrontare il valore di gravità in un punto con un altro.
Essi devono essere tarati ad un luogo in cui la gravità è conosciuto con precisione, e poi trasportato alla posizione in cui la gravità deve essere misurato.
Che misura il rapporto tra la gravità dei due punti.
La maggior parte dei comuni Gravimetri relativi sono la primavera-based.
Essi sono utilizzati in indagini di gravità su aree di grandi dimensioni per stabilire la figura del geoide su quelle aree.
Una molla a base di gravimetro relativo è fondamentalmente un peso su una molla, e misurando la quantità con la quale il peso, si estende la primavera, la gravità locali possono essere misurati. Tuttavia, la forza della molla deve essere calibrato ponendo lo strumento in una posizione con una nota l'accelerazione gravitazionale.

Il Gravimetri più accurati relativi sono superconduttori Gravimetri, che operano da sospensione di uno di elio liquido raffreddato diamagetic sfera niobio superconduttore in un campo estremamente stabile magnetico, la corrente necessaria per generare il campo magnetico che sospende la sfera di niobio è proporzionale alla forza gravitazionale della Terra campo.
Il gravimetro superconduttore raggiunge sensibilità straordinaria di uno nanogal, un millesimo di un miliardesimo (10 -12), della gravità della superficie terrestre.
ESERCIZIO 13
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2.Chi può negare che anche la gloria più eccelsa è spesso un dono della fortuna piuttosto che del valore?
4.
6..Non dovrei restiturgli l'argento?
8..Avresti creduto che Silla fosse venuto in Italia non come garante di guerra ma come fautore di pace, quando attraverso la Calabria e l'Apulia condusse l'esercito in Campania con tanta calma.
10.non dimentichi nulla l'animo quanto l'amicizia fedele e dolce.
Versione n° 12 pag.126

ADERBALE, SCACCIATO DA GIUGURTA, CHIEDE AIUTO AL SENATO DI ROMA.

Mio padre lasciò noi due fratelli e il terzo, Giugurta, pensò che sarebbe rimasto legato a noi dai suoi benefici.
Dei due uno è stato ucciso: io sono sfuggito a stento alle empie mani dell'altro.
Che cosa farò?
Dove, infelice, potrò mai rivolgermi?
I sostegni della famiglia sono venuti tutti a mancare.
Mio padre ha dovuto inevitabilmente cedere alla legge di natura.
A mio fratello chi meno avrebbe dovuto, cioè un parente, ha tolto la vita in modo spietato; i parenti, gli amici e gli altri miei congiunti sono caduti vittime chi di una sciagura chi di un'altra: presi da Giugurta, alcuni furono crocifissi, altri esposti alle fiere, i pochi lasciati in vita, rinchiusi in oscure prigioni, trascinano, nella tristezza e nel pianto, una vita peggiore d'ogni morte.
Se mi fosse rimasto tutto quello che ho perduto o che da amico mi è diventato nemico, io nondimeno, a ogni improvvisa mia disgrazia, invocherei voi, padri coscritti, ai quali, per la grandezza dell'impero, spetta la difesa del diritto e la punizione delle offese.
Ora però, cacciato dalla casa paterna, solo, spogliato di ogni dignità, dove andrò?
Ai popoli o ai re, che sono tutti ostili alla nostra stirpe, a causa della nostra amicizia con voi?
O posso io andare in qualche luogo, ove non ritrovi a ogni passo le tracce delle guerre combattute dai miei antenati?
O potranno avere pietà di me coloro che un tempo furono vostri nemici?
Infine, padri coscritti, Massinissa ci inculcò il principio di non onorare altri che il popolo romano, di non stringere nuove alleanze o trattati.
REGGIA DI CASERTA

La Reggia di Caserta, o Palazzo Reale di Caserta, è una dimora storica appartenuta alla famiglia reale della dinastia Borbone di Napoli, proclamata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Situata nel comune di Caserta, è circondata da un vasto parco nel quale si individuano due settori: il giardino all'italiana ed il giardino all'inglese.
Il Palazzo reale di Caserta fu voluto da Carlo III di Borbone, il quale, colpito dalla bellezza del paesaggio casertano e desideroso di dare una degna sede di rappresentanza al governo della capitale Napoli ed al suo reame, volle che venisse costruita una reggia tale da poter reggere il confronto con quella di Versailles, il sovrano si rivolse all'architetto Luigi Vanvitelli, a quel tempo impegnato nei lavori di restauro della basilica di Loreto per conto dello Stato Pontificio.
Il re chiese che il progetto comprendesse, oltre al palazzo, il parco e la sistemazione dell'area urbana circostante, con l'approvvigionamento da un nuovo acquedotto.
La nuova reggia doveva essere simbolo del nuovo stato borbonico e manifestare potenza e grandiosità, ma anche essere efficiente e razionale.
Vanvitelli giunse a Caserta nel 1751 e iniziò subito la progettazione del palazzo commissionatogli, con l'obbligo di farne uno dei più belli d'Europa. Il 22 novembre di quell'anno l'architetto sottopose al re di Napoli il progetto definitivo per l'approvazione.
La reggia, definita l'ultima grande realizzazione del Barocco italiano[3], fu terminata nel 1845.
Oltre alla costruzione perimetrale rettangolare, il palazzo ha, all'interno del rettangolo, due corpi di fabbricato che s'intersecano a croce e formano quattro vasti cortili interni di oltre 3.800 metri quadrati ciascuno.
Accanto al portone centrale sono ancora visibili i basamenti sui quali dovevano essere poste le statue della Giustizia, della Magnificenza, della Clemenza e della Pace, virtù attribuite al re.
A destra e a sinistra si inseriscono i passaggi che portano ai cortili interni, mentre frontalmente un triplice porticato immette al centro topografico della reggia.
In fondo, un terzo vestibolo dà adito al parco.
Di fronte si trova l'accesso alla grande Cappella Palatina, ispirata a quella della Reggia di Versailles; questo spazio, definito da un'elegante teoria di colonne binate che sostengono una volta a botte, è stato danneggiato durante la seconda guerra mondiale, quando andarono perduti gli organi e tutti gli arredi sacri, e quindi restaurato.
Sul retro della cappella, ancora inglobato all'interno del palazzo, è posto il piccolo e raffinato Teatro di Corte.
Invece, alla sinistra del vestibolo si accede agli appartamenti veri e propri.
L'Appartamento Vecchio, posto sulla sinistra, fu il primo ad essere abitato da Ferdinando IV .
Le prime quattro stanze, di conversazione, sono dedicate alle quattro stagioni ed affrescate da artisti quali Antonio Dominici e Fedele Fischetti.
Segue lo studio di Ferdinando II, con dipinti a tempera di Filippo Hackert che rappresentano vedute di Capri, Persano, Ischia, la Vacchieria di San Leucio, Cava di Salerno e il giardino inglese della reggia stessa.
L'Appartamento Nuovo, posto sulla destra della sala di Alessandro il Grande, fu costruito tra il 1806 ed il 1845.
Vi si accede tramite la Sala di Marte, progettata da Antonio de Simone in stile neoclassico e affrescata da Antonio Galliano.
Proseguendo oltre l'adiacente Sala di Astrea, con rilievi e stucchi dorati di Valerio Villareale e Domenico Masucci, si giunge quindi all'imponente Sala del Trono, che rappresenta l'ambiente più ricco e suggestivo degli appartamenti reali.
LUIGI VANVITELLI

Luigi Vanvitelli (Napoli, 12 maggio 1700 – Caserta, 1 marzo 1773) è stato un pittore e architetto italiano.
Nato da una famiglia di artisti originaria di Amersfoort (Olanda), il suo cognome originario (van Wittel) fu italianizzato in Vanvitelli dal padre Gaspar (Gaspare Vanvitelli), che, emigrato a Roma nel 1674, vi svolse attività di pittore fino al 1736, divenendo l'iniziatore del vedutismo.
Luigi Vanvitelli iniziò la propria attività come pittore, seguendo l'esempio del padre, per poi dedicarsi all'architettura e divenire uno dei più importanti architetti italiani del periodo fra il Barocco e il Neoclassicismo.
Allievo del poco noto Antonio Valeri, Vanvitelli si ispirò all'opera di alcuni grandi architetti del Barocco, come Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini, Carlo Fontana, Filippo Juvarra e studiò a fondo i trattati e le opere degli architetti dell'antichità e del Rinascimento.
Negli anni della formazione strinse una duratura amicizia e collaborazione con Nicola Salvi e si affiliò all'Accademia dell'Arcadia.
Notevole opera giovanile è il Lazzaretto di Ancona, costruito su una grande isola artificiale di forma pentagonale, realizzata dallo stesso Vanvitelli all'interno del porto (1733 - 1738).
Durante la permanenza in Ancona per queste opere portuali venne interpellato dal Comune di Ascoli Piceno per un parere circa il progetto della struttura lignea di carattere bibienesco concepita dall'intagliatore ascolano Giuseppe Gualtieri per la nuova sala teatrale da realizzare nel Palazzo Arringo; pur giudicando il progetto ben adattato al grande vano destinato allo scopo nel palazzo, Vanvitelli biasimò la moda alquanto diffusa di imitare le bizzarre sale di spettacolo dei Bibiena.
A Roma ottenne la carica di architetto della Basilica di San Pietro in Vaticano, che mantenne per tutta la vita.
PALAZZINA DI CACCIA DI STUPINIGI

a Palazzina di caccia di Stupinigi è un'architettura di Filippo Juvarra, facente parte del circuito delle residenze sabaude in Piemonte, proclamato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
È situata nella località di Stupinigi (comune di Nichelino), alla periferia sud-occidentale di Torino.
Il territorio definito in età medioevale Suppunicum presentava già un piccolo castello, tuttora visibile a levante della palazzina, che anticamente difendeva il paese di Moncalieri: esso era possesso dei Savoia-Acaia, nel corso degli anni le terre adiacenti al castello erano divenute luogo ideale per le battute di caccia dei duchi.
Fu Vittorio Amedeo II di Savoia a vagheggiare la trasformazione del complesso in una palazzina degna della nuova figura reale.
Era l'aprile 1729, e venne affidato il progetto a Filippo Juvarra.
Fu ceduta al demanio statale nel 1919 e nel 1925 fu restituita, con le proprietà circostanti, all'ordine mauriziano.
La pianta è a quattro bracci a croce di Sant’Andrea. Bellissimo il giardino e affascinante il lungo viale che conduce alla palazzina, arrivando da Torino, fiancheggiato da cascine e scuderie.
Il nucleo centrale è costituito da un grande salone centrale di pianta ovale da cui partono quattro bracci più bassi a formare una croce di Sant'Andrea. Nei bracci sono situati gli appartamenti reali e quelli per gli ospiti.
Il cuore della costruzione è il grande salone ovale a doppia altezza dotato di balconate ad andamento "concavo-convesso", sormontato dalla statua del "Cervo", opera di Francesco Ladatte: con l'allontanarsi di Juvarra da Torino (destinazione Madrid), il principe Carlo Emanuele III affidò la direzione dei lavori a Giovanni Tommaso Prunotto, il quale provvide ad ampliare la palazzina partendo dagli schizzi lasciati dall'architetto messinese, cercando così di salvaguardare i complessi giochi di luce e di forme cari al suo predecessore.
La costruzione si protende anteriormente racchiudendo un vasto cortile ottagonale, su cui si affacciano gli edifici di servizio.
Il salone, cuore della palazzina, fu la prima idea dello Juvarra ad essere portata a termine, tant'è vero che già nel 1730 era concluso e il 10 febbraio 1731 il re commissionava ai fratelli Giuseppe e Domenico Valeriani un grande affresco sulla volta, raffigurante il Trionfo di Diana, la dea della caccia.
I lavori per la realizzazione di tali affreschi iniziarono già l'8 marzo, concludendosi nel 1733. Sembra che lo Juvarra abbia imposto lo schema della quadrature ai due fratelli per non rovinare il suo complesso disegno d'insieme: tale ipotesi appare avvalorata dalle finte architetture della volta, di stile juvarriano.
BASILICA DI SUPERGA

La Basilica di Superga sorge sull'omonimo colle ad est di Torino.
Fu fatta costruire dal re Vittorio Amedeo II come ringraziamento alla Vergine Maria, dopo aver sconfitto i francesi che assediavano Torino nel 1706.
Il progetto è del messinese Filippo Juvarra e risale al 1711. A
lla cappella, posta alla sommità dell'omonima collina, si può giungere attraverso strada o servendosi della Tranvia Sassi-Superga.
La storia della basilica è da far risalire al 2 settembre 1706, quando il duca di Savoia Vittorio Amedeo II e il principe di Carignano Eugenio di Savoia salirono sul colle per osservare Torino assediata dai franco-spagnoli. Vittorio Amedeo, inginocchiatosi dinanzi ad un vecchio pilone, giurò che, in caso di vittoria, avrebbe edificato un monumento alla Madonna.
E così avvenne.
L'edificazione della futura basilica iniziò il 20 luglio 1717, e si protrasse per quattordici anni.
Per tutto il periodo della costruzione, si arrivava alla sommità della collina
Nel 1800 (anno VII della Repubblica) si era avanzata l'ipotesi di trasformare la basilica in un "Tempio della Riconoscenza".
Le tombe dei Savoia, che erano ivi tumulate, rischiavano di essere traslate altrove per lasciar posto alle ceneri dei piemontesi caduti al fianco dei giacobini: nulla di ciò venne effettuato.
Nel 1884 è stata aperta una funicolare basata sul sistema Agudio che collegava la sommità della collina di Superga (a poche centinaia di metri dalla Basilica) con il quartiere Sassi in Torino.
La parte posteriore del complesso basilicale è stata colpita il 4 maggio 1949 dall'aereo in arrivo da Lisbona, che trasportava la squadra di calcio del Grande Torino, nell'incidente morirono i giocatori e i tecnici della squadra, i giornalisti al seguito e i membri dell'equipaggio.
I muri distrutti dall'impatto sono ancora visibili, in quanto si è deciso di non ricostruirli.
Oggi il tragico evento è ricordato da un museo all'interno e da una lapide sul retro dell'edificio, meta di pellegrinaggi di sportivi e non; ogni 4 maggio infine si celebra una messa solenne in ricordo delle vittime.
La Basilica in sé è un "organismo architettonico" che si articola attorno a una chiesa dalla pianta circolare, sormontata da una grande cupola di gusto barocco, preceduta da un pronao sorretto da otto colonne corinzie di ispirazione classica (Pantheon di Roma).
Tale influenza si nota anche nell'impostazione a pianta centrale.
L'interno, di pianta a croce greca, è decorato da lucenti sculture eseguite dai fratelli Filippo ed Ignazio Collino.